LA CONFESSIONE AL PRETE NON È STATA ISTITUITA DA CRISTO, ma è una invenzione papista. Cattolici Romani, ascoltate, smettete di andarvi a confessare dal prete, perché lui non può rimettervi i peccati.
Questo lo può fare solo Dio, secondo che è scritto: “Egli è quel che ti perdona tutte le tue iniquità” (Salmo 103:3), e difatti il Salmista si rivolgeva direttamente a Dio quando si pentiva dei suoi peccati e voleva il perdono divino, secondo che dice: “Io t’ho dichiarato il mio peccato, non ho coperta la mia iniquità. Io ho detto: Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno; e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato” (Salmo 32:5). Fate dunque come il Salmista, altrimenti i vostri peccati continueranno a gravare sulla vostra coscienza, e quando morirete andrete all’inferno.
Ravvedetevi dei vostri peccati dunque, confessando a Dio con un cuore rotto di avere peccato contro di lui, e nello stesso tempo credete che Gesù Cristo è morto sulla croce per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione. Così facendo otterrete la remissione di tutti i vostri peccati, come anche la vita eterna. E avrete finalmente la certezza non solo di essere stati appieno perdonati da Dio, ma anche di andare in paradiso quando morirete.
E una volta ottenuto tutto ciò, uscite immediatamente dalla Chiesa Cattolica Romana e unitevi ad una Chiesa Evangelica Pentecostale, e chiedete di essere battezzati per immersione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in ubbidienza all’ordine di Gesù Cristo.
LA SCRITTURA NON CONFERMA LA CONFESSIONE FATTA AL PRETE
Ora,
i teologi papisti asseriscono che i preti hanno ricevuto il potere di
rimettere i peccati da Cristo perché é scritto che Gesù ha detto agli
apostoli: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Giov. 20:23)!
Ma
stanno le cose proprio così? Affatto. Innanzi tutto dobbiamo dire che
se Cristo con quelle parole avesse istituito questo sacramento della
confessione così come lo possiede la chiesa cattolica romana dovrebbero
esserci a tale proposito delle conferme ben precise sia negli Atti degli
apostoli che nelle epistole degli apostoli tenendo presente anche il
fatto che esso è reputato indispensabile per conseguire la salvezza
perché tramite esso vengono rimessi i peccati ‘mortali’ commessi dopo il
battesimo.
Ma
dobbiamo dire che in tutti questi scritti del Nuovo Testamento non c’è
nessuna traccia di questo cosiddetto sacramento amministrato dagli
apostoli ai credenti. Difatti non una volta, dico nemmeno una volta, si
trova che gli apostoli richiesero che i credenti si andassero a
confessare da loro per ottenere la remissione dei loro peccati.
Una
chiara conferma che gli apostoli non richiedevano ai credenti di
andarsi a confessare da loro per ottenere la remissione dei loro peccati
e quindi che essi non avevano quell’autorità di riconciliare i credenti
con Dio (che invece pretendono avere i preti) l’abbiamo nel caso di
Simone, negli Atti degli apostoli. Luca dice che “Simone credette anch’egli; ed essendo stato battezzato, stava sempre con Filippo…” (Atti 8:13), quindi era diventato anche lui un credente.
Ma
quando gli apostoli Pietro e Giovanni vennero a Samaria a pregare per i
credenti affinché ricevessero lo Spirito Santo avvenne che egli “vedendo
che per l’imposizione delle mani degli apostoli era dato lo Spirito
Santo, offerse loro del danaro, dicendo: Date anche a me questa potestà,
che colui al quale io imponga le mani riceva lo Spirito Santo” (Atti 8:18,19).
Ecco
dunque un credente che dopo il battesimo cade in un peccato (secondo la
teologia romana un peccato ‘mortale’ perché simonia [3]
e quindi egli aveva l’obbligo di confessarsi agli apostoli per
ottenerne la remissione), quindi, dato che Pietro e Giovanni erano là,
quello che ci si aspetterebbe è che essi gli dicano di pentirsi e di
venire a confessarsi da loro. Ma non avviene nulla di tutto ciò perché
Pietro gli dice: “Ravvediti dunque
di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se é possibile, ti
sia perdonato il pensiero del tuo cuore..”
(Atti 8:22). Notate che Pietro in questo caso disse a Simone (che aveva
anch’egli creduto) di ravvedersi e di pregare il Signore affinché gli
fosse perdonato il suo peccato.
L’apostolo non gli disse:
‘Ravvediti e poi vieni a confessarti da noi, perché abbiamo il potere
di rimettere i peccati da parte di Dio’, ma gli disse di ravvedersi e di
pregare direttamente il Signore affinché lui gli perdonasse il suo
peccato. Come potete vedere, da questo episodio citato da Luca si
apprende in maniera inequivocabile che i credenti dopo il battesimo per
ottenere la remissione dei loro falli dovevano confessarli direttamente a
Dio senza la mediazione di nessun uomo sulla terra.
Che
la confessione dei peccati i credenti la dovevano fare direttamente a
Dio ai giorni degli apostoli mentre loro erano in vita lo si deduce
chiaramente anche dall’epistola di Giovanni, uno degli apostoli a cui
Gesù disse: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi” (Giov. 20:23). Nella sua prima epistola egli afferma: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giov. 1:9).
Ma a chi li dovevano confessare quei peccati?
A Dio certamente, perché egli dice che se essi – quindi lui si
includeva – li confessavano a Dio egli nella sua fedeltà e giustizia
glieli avrebbe rimessi e li avrebbe purificati da ogni iniquità. Non può
essere altrimenti perché Giovanni sapeva che Gesù aveva loro detto che
quando pregavano dovevano dire: “Padre nostro che sei nei cieli… rimettici i nostri debiti” (Matt. 6:9,12) e quindi si dovevano rivolgere direttamente a Dio.
Più avanti Giovanni afferma: “Figliuoletti
miei, io vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se alcuno ha
peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il
giusto; ed egli è la propiziazione per i nostri peccati…”
(1 Giov. 2:1,2): notate che egli non disse: ‘Se qualcuno ha peccato
avete gli apostoli del Signore, o gli anziani delegati da loro a
rimettere i peccati’; no, ma “noi abbiamo un avvocato presso il Padre,
cioè Gesù Cristo”.
Questo significa che Giovanni credeva che
quand’anche un credente avesse peccato egli avrebbe trovato perdono
presso Dio Padre andando direttamente a lui nel nome del suo Figliuolo.
Veniamo
a Giacomo, il fratello del Signore: egli scrisse una lettera alle
dodici tribù della dispersione nella quale disse le seguenti cose: “Donde
vengon le guerre e le contese fra voi? Non è egli da questo: cioè dalle
vostre voluttà che guerreggiano nelle vostre membra? Voi bramate e non
avete; voi uccidete ed invidiate e non potete ottenere; voi contendete e
guerreggiate… O gente adultera, non sapete voi che l’amicizia del mondo
è inimicizia contro Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si
rende nemico di Dio….” (Giac. 4:1,2,4).
Ora,
secondo la teologia romana quei credenti dopo il battesimo s’erano resi
colpevoli di peccati ‘mortali’, uccidevano, invidiavano, erano
diventati amici del mondo e nemici di Dio. Ci si aspetterebbe dunque che
Giacomo dicesse loro di andarsi a confessare dagli apostoli o dagli
anziani della Chiesa.
Ma ancora una volta di questa confessione non c’è il minimo accenno, infatti l’apostolo scrive subito dopo: “Appressatevi
a Dio, ed Egli si appresserà a voi. Nettate le vostre mani, o
peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! Siate afflitti e
fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto, e la
vostra allegrezza in mestizia! Umiliatevi nel cospetto del Signore, ed Egli vi innalzerà” (Giac. 4:8-10).
Ecco
ancora una volta una esortazione a rivolgersi direttamente a Dio, ad
andare a confessare i propri peccati a Dio direttamente e non a un
ministro di Dio.
Tutti
questi esempi appena visti attestano in maniera chiara che Cristo non
diede agli apostoli la potestà di rimettere i peccati agli uomini,
infatti essi non richiesero mai che i credenti caduti nel peccato si
andassero a confessare da loro. Anche allora i credenti quando peccavano
erano esortati a confessare i loro peccati a Dio per ottenerne la
remissione. D’altronde c’erano anche le Scritture dell’Antico Patto che
confermavano loro che questa confessione essi la dovevano fare a Dio e
non a degli uomini, quantunque uomini santi che erano stati con Gesù.
Citiamo per esempio queste eloquenti parole di Davide: “Io
t’ho dichiarato il mio peccato, non ho coperta la mia iniquità. Io ho
detto: Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno; e tu hai perdonato
l’iniquità del mio peccato” (Sal. 32:5).
Non
erano anche per loro una chiara prova che essi dovevano confessarsi a
Dio solo? Ma domandiamoci: ‘Ma non sarebbero stati confusi gli stessi
apostoli se avessero ordinato ai credenti di andare a dichiarare i loro
peccati a loro e non direttamente a Dio, quando le Scritture dell’Antico
Patto ordinavano di andare a confessarsi a Dio direttamente. Ma come
avrebbero potuto gli apostoli affermare di avere il potere di rimettere i
peccati che i credenti commettevano contro Dio senza essere ripresi per
la loro arroganza?
Infine,
per confermare ulteriormente che la confessione delle proprie iniquità,
secondo la Scrittura, va fatta a Dio e non a dei presunti intermediari
quali i preti cattolici, citiamo due confessioni trascritte nell’Antico
Testamento, quella di Esdra e quella di Daniele.
Nel libro di Esdra è scritto: “E
al momento dell’oblazione della sera, m’alzai dalla mia umiliazione,
colle vesti e col mantello stracciati; caddi in ginocchio; stesi le mani
verso l’Eterno, il mio Dio, e dissi: ‘O mio Dio, io son confuso; e mi
vergogno, o mio Dio, d’alzare a te la mia faccia; poiché le nostre
iniquità si son moltiplicate fino al di sopra del nostro capo, e la
nostra colpa è sì grande che arriva al cielo. Dal tempo de’ nostri padri
fino al dì d’oggi siamo stati grandemente colpevoli…” (Esd. 9:5-7).
Nel libro di Daniele è scritto: “E
feci la mia preghiera e la mia confessione all’Eterno, al mio Dio,
dicendo: ‘O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e
continui la benignità a quelli che t’amano e osservano i tuoi
comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siam condotti iniquamente, abbiamo
operato malvagiamente, ci siamo ribellati, e ci siamo allontanati dai
tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni, non abbiam dato ascolto ai
profeti, tuoi servi, che hanno parlato in tuo nome ai nostri re, ai
nostri capi, ai nostri padri, e a tutto il popolo del paese…” (Dan. 9:4-6).
Ecco
dunque dei membri del popolo di Dio sotto l’Antico Patto che si
confessarono direttamente a Dio per ottenere il suo perdono. Per
riassumere: nella Scrittura non c’è la benché minima menzione di una
confessione da farsi ad un sacerdote per ottenere il perdono dei
peccati; non c’è nell’Antico Patto e non c’è neppure nel Nuovo Patto
perché gli apostoli nelle loro epistole non ne parlano.
Forse qualcuno penserà che gli apostoli in virtù di quelle parole che Gesù disse loro cioè: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”
(Giov. 20:23), richiedessero che i peccatori andassero da loro a
dichiarare i loro peccati per ottenere la remissione di essi.
Ma
anche qui si deve dire che di una simile confessione non esiste la
benché minima traccia nella Scrittura. Perché questo? Perché gli
apostoli avevano ricevuto l’ordine di predicare la remissione dei
peccati secondo che aveva loro detto Gesù: “Così
è scritto, che il Cristo soffrirebbe, e risusciterebbe dai morti il
terzo giorno, e che nel suo nome si predicherebbe ravvedimento e
remission dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme”
(Luca 24:46,47) e non la potestà di assolvere i peccatori penitenti
perché questa la possiede solo Dio, il giusto Giudice. Questo é
confermato dai seguenti episodi trascritti nel libro degli Atti degli
apostoli.
A Gerusalemme il giorno della Pentecoste, quando i Giudei che udirono la predicazione di Pietro, dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Fratelli, che dobbiam fare?” (Atti 2:37), Pietro rispose loro dicendo: “Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remission de’ vostri peccati…”
(Atti 2:38). Notate che cosa Pietro disse di fare a quei Giudei per
ottenere la remissione dei loro peccati; egli disse loro di ravvedersi e
di farsi battezzare.
Pietro
assieme agli altri apostoli non dissero loro: ‘Venite a confessarvi da
noi e noi vi rimetteremo i vostri peccati perché abbiamo ricevuto da
Cristo il potere di farlo’. Questa é una chiara dimostrazione di come
gli apostoli non intesero malamente le parole del Signore Gesù come
invece hanno fatto i teologi cattolici romani.
A casa di Cornelio, Pietro predicò la remissione dei peccati nel nome di Cristo infatti disse: “Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remission de’ peccati mediante il suo nome”
(Atti 10:43). Anche in questo caso Pietro non pretese che Cornelio ed i
suoi andassero da lui a confessargli i loro peccati appunto perché
l’apostolo non aveva il potere di rimettere a nessuno i peccati da parte
di Dio ma quello di predicare la remissione dei peccati il che è
differente.
Sempre a casa di Cornelio, Pietro disse: “Ed
egli ci ha comandato di predicare al popolo e di testimoniare ch’egli è
quello che da Dio è stato costituito Giudice dei vivi e dei morti”
(Atti 10:42); quindi è Cristo, essendo il Giudice di tutti, ad avere il
potere di assolvere e non degli uomini costituiti da lui. I peccatori
quindi per ottenere misericordia da Dio devono confessare le loro
iniquità a Cristo che è il Giudice che può assolvere o condannare (e non
a degli uomini).
Gesù stesso
ha confermato che il peccatore per essere assolto è sufficiente che si
confessi direttamente a Dio quando disse in una parabola che un
pubblicano, salito al tempio per pregare, “non ardiva neppure alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, sii placato verso me peccatore!”
(Luca 18:13); questo pubblicano non andò a confessarsi dai sacerdoti
che erano nel tempio ma direttamente da Dio, ed ottenne la remissione
dei suoi peccati secondo che Gesù disse: “Io vi dico che questi scese a casa sua giustificato” (Luca 18:14).
Quando gli apostoli comparvero davanti al Sinedrio, Pietro e gli altri dissero: “L’Iddio
de’ nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste appendendolo al
legno. Esso ha Iddio esaltato con la sua destra, costituendolo Principe
e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e remission dei peccati”
(Atti 5:30,31). Anche in questo caso gli apostoli non si attribuirono
affatto il potere di rimettere i peccati agli uomini perché fecero
capire chiaramente con le loro parole che è Dio colui che dà la
remissione dei peccati come anche il ravvedimento.
Ora,
noi sappiamo che il ravvedimento è Dio a darlo agli uomini perché è
scritto che quelli della circoncisione dopo che Pietro raccontò loro
come Dio lo aveva mandato dai Gentili a predicare il Vangelo e come essi
avevano ricevuto lo Spirito Santo, dissero: “Iddio dunque ha dato il ravvedimento anche ai Gentili affinché abbiano vita”
(Atti 11:18); quindi come gli apostoli non avevano il potere di dare il
ravvedimento a nessuno, ma solo l’ordine di predicare il ravvedimento a
tutti, così essi non avevano neppure il potere di dare la remissione
dei peccati a nessuno perché quella la dava direttamente Dio al
peccatore penitente; essi anche in questo caso avevano l’ordine di
predicare la remissione dei peccati (cfr. Luca 24:47 per comprendere che
gli apostoli avevano ricevuto l’ordine di predicare il ravvedimento e
la remissione dei peccati).
Come
potete vedere gli apostoli non confessavano i peccatori ma li
esortavano a ravvedersi e a credere in Gesù Cristo per ottenere la
remissione dei loro peccati; a lui dovevano confessare i loro peccati e non a loro.
La
penitenza cattolica romana che l’uomo deve fare al sacerdote quindi non
ha nessun passo scritturale che la sostenga. E questo lo ha
riconosciuto pure Bartmann che ha detto che nella Scrittura ‘non
si trova alcun passo in cui si esiga esplicitamente che il peccatore
confessi i suoi peccati gravi a un sacerdote per ottenerne il perdono’ (Bernardo Bartmann, op. cit., pag. 282).
Ma
allora, qualcuno dirà, come mai dinanzi all’evidenza i teologi
difendono il dogma della penitenza? La ragione è perché devono
compiacere al papa in ogni cosa e non possono permettersi di dissentire
da lui se non vogliono incorrere in qualche provvedimento disciplinare.
Nella
chiesa romana funziona così: il papa detta la legge e i teologi devono
ubbidirgli anche se la sua legge contrasta la verità e non può quindi
essere sostenuta con la Parola di Dio.
Per
concludere, tutte le suddette Scritture da noi citate confermano che la
confessione dei propri peccati l’uomo, sia il peccatore che vuole
essere salvato, che il credente che è già salvato, la deve fare al
Signore affinché i suoi peccati gli vengano rimessi perché solo Dio ha
il potere di perdonare i peccati all’uomo secondo che é scritto nei
Salmi: “Egli è quel che ti perdona tutte le tue iniquità” (Sal. 103:3).
[3] Per
simonia i Cattolici intendono il traffico di cose sacre a scopo di
lucro. Il simoniaco è colui che vende o compra ‘uffici sacri’, ecc.
LA SCRITTURA NON CONFERMA LA CONFESSIONE FATTA AL PRETE
Ora, i teologi papisti asseriscono che i preti hanno ricevuto il potere di rimettere i peccati da Cristo perché é scritto che Gesù ha detto agli apostoli: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Giov. 20:23)!
Ma stanno le cose proprio così? Affatto. Innanzi tutto dobbiamo dire che se Cristo con quelle parole avesse istituito questo sacramento della confessione così come lo possiede la chiesa cattolica romana dovrebbero esserci a tale proposito delle conferme ben precise sia negli Atti degli apostoli che nelle epistole degli apostoli tenendo presente anche il fatto che esso è reputato indispensabile per conseguire la salvezza perché tramite esso vengono rimessi i peccati ‘mortali’ commessi dopo il battesimo.
Questo significa che Giovanni credeva che quand’anche un credente avesse peccato egli avrebbe trovato perdono presso Dio Padre andando direttamente a lui nel nome del suo Figliuolo.
[3] Per simonia i Cattolici intendono il traffico di cose sacre a scopo di lucro. Il simoniaco è colui che vende o compra ‘uffici sacri’, ecc.
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La confessione dell' ipocrita Francesco, fatta ovviamente davanti alle telecamere per far vedere quanto lui sia 'umile', dura circa 20 secondi!
"Questo pomeriggio, infatti, il pontefice si è accostato a uno dei confessionali per ricevere egli stesso l’assoluzione nel corso della celebrazione penitenziale presieduta nella basilica. In ginocchio, per confessarsi, Francesco è rimasto invece circa 3 minuti. Ricevuta l’assoluzione, Bergoglio ha preso posto in uno dei 61 confessionali in funzione e vi si è trattenuto circa 35 minuti, confessando alcuni fedeli. Non si tratta di una novità, anche i suoi predecessori erano soliti farlo: Giovanni Paolo II tutti i venerdì santo, fino a quando la salute glielo ha concesso, scendeva in San Pietro per confessare alcuni fedeli; Benedetto XVI lo ha fatto, ma solo in occasione di celebrazioni particolari. Mai però si era visto un Papa confessarsi" (http://qn.quotidiano.net/ cronaca/2014/03/28/ 1045703-papa-francesco-conf essione.shtml).
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- La storia della nascita del 'sacramento' della confessione al prete
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